sabato 14 dicembre 2013

Il nulla creaturale secondo la teologia mistica

Il dono di sé di Dio, attraverso la rinuncia alla propria natura divina, è il prototipo della ascesa mediante il sacrificio, la conquista spirituale attraverso la perdita e la rinuncia a sé. Lo svuotarsi da parte del Figlio della propria natura divina non è un movimento accidentale di autonegazione, ma un essenziale aspetto dinamico della natura divina in sé, quell’aspetto dialettico che instaura una comunicazione essenziale, in un capovolgimento-coinvolgimento di essenze, tra uomo e dio. L’esito del cammino è dunque l’annullamento, un rischiararsi dell’anima come Nulla, il termine inverso del Tutto, e che proprio per questo può essere dal Tutto fecondato. Tutto e Nulla sono termini che mantengono il loro senso più pregnante solo nella loro reciproca tensione, nel loro dialogo, dando luogo ad un movimento complementare. Il nulla creaturale è la dimensione ontologica caratteristica del soggetto umano.

 «Dio comincia là dove la creatura finisce. Ora, da te Dio non desidera nulla più
se non che tu esca da te stesso, quanto al tuo modo di essere creaturale, e lasci
che in te Dio sia Dio» (Eckhart).

Il dato di partenza della «notte» e pertanto un momento iniziale nella logica del processo ascetico, quel «nulla», appunto, che la creatura rifiuta istintivamente di essere, quel nulla a partire dal quale Dio si compiace di ripetere la creazione. Nella creatura l’essere viene totalmente e costantemente conferito da una continuità nella creazione ma, considerata in se stessa, la creatura è un puro nulla. Su questa tematica del nihil creaturarum Giovanni della Croce si muove in consonanza con uno dei temi forti della mistica tedesca fiorita sulla scia di Eckhart. L’essere della creatura, nella sua totalità, non è che un prestito, una presenza dell’essere di Dio che in questa sua immanenza – nell’essere un Dio-per-noi , una divinità relazionata – non rinuncia però ad una sua assoluta trascendenza in quanto Monade inconoscibile, deus absconditus.

Il tema del deus absconditus privo di attributi, essenza divina irrelata ed ineffabile, non è nuovo, soprattutto nelle tradizioni mistiche che affondano parte delle proprie radici nel neoplatonismo. Lo troviamo infatti, oltre che nella tradizione mistica cristiana, nel sufismo e nella Qabbalah (nell’idea dell’En-Sof, “senza-fine”, il Nulla divino che si manifesta in dieci emanazioni attraverso l’albero delle Sefirot

«Bisogna sapere che Dio, in ogni anima, fosse anche quella del maggior
peccatore del mondo, dimora e risiede sostanzialmente. E questa maniera di
unione è sempre costituita tra Dio ed ogni creatura, nella quale viene conservato
l’essere che possiedono; di modo che se venisse a mancare, si annichilerebbero e
cesserebbero di essere.  E dunque, quando parliamo di unione dell’anima con Dio, 
non parliamo di questa sostanziale, che è sempre fatta, ma dell’unione
 e trasformazione dell’anima con Dio, che non sempre è fatta, 
ma solo quando viene ad esserci somiglianza d’amore. 
E pertanto questa si chiamerà unione di somiglianza, 
così come quella unione essenziale o sostanziale; 
quella naturale; questa soprannaturale» Salita al Monte Carmelo II, 5,3.

 «Quando arriverai ad essere ridotto a nulla, sarà compiuta l’unione tra l’anima e
Dio, che è il maggiore e più alto stato cui in questa vita si possa giungere, poiché
non consiste in ricreazioni e gusti, e sentimenti spirituali, ma in una viva morte
della croce sensuale e spirituale, cioè interiore ed esteriore» Salita, II, VII, 11.

 Il vuoto rappresenta il limite della recettività e della passività, ma non può emergere se non attraverso una tensione, un desiderio bruciante (Eros); Giovanni della Croce sa di dover aspettare il dono del perfetto annullamento, il rapimento che permette di attuare il completo annichilimento delle potenze dell’anima, in un estremo slancio non volontaristico, nell’abbandono inerte, nel rendersi soggetto all’opera divina che diviene il reale soggetto agente del processo.

L’amore, inteso come eros, non può esistere se non a partire dagli esseri inferiori, nel loro desiderio di assimilarsi ai superiori. L’amore che muove il cosmo platonico o aristotelico (libro XII della Metafisica, dove si espone la dottrina del Motore Immobile) è l’amore con cui Dio è amato, l’amore con cui Dio trae a sé le creature; per lui, amare qualcosa di inferiore e di imperfetto non avrebbe alcun senso. Al contrario, per Dionigi, l'amore che muove ogni essere è l’amore proprio di Dio, l’agápe con cui lui ama, amore che è puro dono e benevolenza. L’eros delle creature sarà il loro sforzo di pervenire alla sorgente di questa agápe, rinnovando il processo circolare di creazione e ritorno, fornendo ai secoli successivi l’immagine di una fonte che scorre dentro se stessa e verso se stessa, un “Dio sempre immobile nel mutamento”. La morte diviene il traguardo della passione, è contenuta intimamente nella struttura dell’eros che nel proprio soddisfacimento, nel e come suo traguardo, annulla se stesso.

«Ciò che Dio pretende è farci dèi per partecipazione, essendolo lui per natura,
come il fuoco converte tutte le cose in fuoco» Punti d’amore riuniti a Beas, 27.
«Le anime possiedono dunque per partecipazione gli stessi beni che il Figlio
possiede per natura; sicché sono davvero degli dèi per partecipazione, pari a Dio
e suoi compagni. […] L’anima parteciperà a Dio stesso, agendo in lui e
accompagnandosi a lui nell’opera della Santissima Trinità, in virtù dell’unione
sostanziale tra l’anima e Dio. Sebbene ciò si compia perfettamente nell’altra
vita, in questa tuttavia, quando si arriva allo stato di perfezione, se ne ottiene un
forte indizio e sapore» Cantico Spirituale XXXIX,6.

Il che richiede l’intervento soprannaturale della grazia divina, operatrice intermediaria tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, affinché l’anima venga temporaneamente sottratta alla sua dimensione temporale e naturale di creatura finita. Questo passaggio avviene attraverso una «morte» ( che sarebbe estremamente riduttivo definire “simbolica”) della natura creaturale, e una rinascita: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Colossesi 3,3).


Nessun commento:

Posta un commento