venerdì 27 dicembre 2013

La natura divina si manifesta nel creato come Sofia/Logos e Gloria

La vita di Dio è piena in se stessa nella Trinità e, se può riempirsi ancora, non è per la divinità ma per ciò che non è divino. Da questa eccedenza d’amore nasce il suo offrirsi e desiderare l’Altro da sé, il mondo degli enti che potenzialmente sono i  suoi interlocutori. Questa manifestazione di amore è il principio di una nuova poliipostaticità creaturale (quella degli uomini e degli angeli) che alcuni teologi ortodossi chiamano Sofia[1]. Essa rimane fuori del mondo divino, ma le è permesso di avervi accesso per la condiscendenza dell’amore divino. La Sofia creaturale non fa che accogliere, perché non ha niente da dare, essa contiene solo ciò che ha ricevuto. Con la consegna di sé all’Amore divino, essa da inizio a tutto in sé. In questo senso la Sofia è la femminilità spirituale, il mondo ideale, il Tutto nell’unità di ogni personificando. Situata tra Dio e il mondo, la Sofia rimane tra l’essere creaturale e l’essere persona divina.
Il mistero del mondo è stato concepito nel Figlio Unigenito come Logos ordinatore del mondo (mascolinità spirituale)  e si manifesta come Sofia, azione di grazia in ciascuno dei personificandi (femminilità spirituale).
Ogni ente creato è natura nel senso che continuamente nasce alla vita divina, perché  accogliendo la grazia divina, riceve la direzione del suo essere creato, la sua logicità, il senso della sua libera relazione con il Creatore. Il Logos è la volontà di Dio Creatore, per mezzo del quale ogni cosa creata è pensata e posta in essere come sua immagine, suo prototipo, ma realizzata nella somiglianza soltanto mediante la Sofia che accogliendo la sostanza divina da forma e bellezza a tutto ciò che vive. La Sofia non fa che rendere feconda l’idea intellegibile, manifestare il corpo di ciascun logos. La natura (anima del mondo) come sostanza vivente è chiamata ad associarsi alla vita dello spirito per diventare corpo spirituale. Il sigillo della Sofia è stato impresso nelle creature perché il mondo riconosca nel Creatore il Logos e attraverso il Logos, il Padre
Dal punto di vista del Padre, la Sofia è la sostanza ideale, il fondamento del creato, in riferimento al Figlio, la Sofia è la ragione del creato, il suo senso, la sua verità e giustizia. Nello Spirito Santo, la Sofia è la spiritualità del creato, la sua santità, l’immacolatezza, cioè bellezza. La Sofia è l’amore personale di Dio, la stessa sostanza del Dio-Amore.  
L’apice della manifestazione nella Sofia creaturale si ha nella Gloria[2], quando Dio si fa intimo all’uomo nel dono del suo Spirito. La gloria è semplicemente il superamento della dualità: Dio non è più altro da te, rimane la distinzione della creatura da Dio, ma la distinzione sussiste nella unità: tu non dici che Dio, tu non sei più che Dio. Rimane la distinzione ma nella unità. In questa unità non è soltanto l'uomo che sparisce come altro da Dio, è anche Dio che 'sparisce' come altro dall'uomo. Sparisce come altro da te. Il cammino della gloria è precisamente un cammino di umiltà. È il cammino infatti onde l'uomo entra sempre più nell'abisso di Dio e sparisce e non rimane più che la luce divina. Dio si comunica in tal modo all'uomo che l'uomo non lo può trovare più al di fuori di sè. Prima lo vedeva nel cosmo, poi lo riconosceva nella sua medesima storia, poi Dio entrava nella sua medesima vita finchè Egli diveniva Uomo, diveniva lui stesso. Di fatto, nella misura che Dio rimane 'altro' dall'uomo l'uomo è nell'inferno. L'inferno è la divisione.  La rivelazione suprema della gloria non potrà mai avvenire, comunque, nella vita presente, ma avviene con la morte, perchè è precisamente con la morte che l'uomo precipita definitivamente nel silenzio di Dio. La glorificazione dell'uomo non è l'atto dell'uomo ma di Dio, è come un essere consumati dal fuoco della Divinità, così che nell'uomo non viva più che la Sua luce, non si faccia presente che la sua volontà. Certo, l'uomo rimane, ma rimane per attestare Dio. L'uomo rimane ma non dice più che Lui.
La vocazione dell'uomo è quella di essere Dio. L'uomo realizza se stesso soltanto se muore a una sua indipendenza, a una sua autonomoia nei confronti del Creatore e, lasciandosi investire dalla sua presenza, fa sì che Dio vive attraverso di lui, Dio si esprima, Dio si manifesti, Dio si riveli, Dio dica Se stesso attraverso l'essere creato. Questo avviene nel Figlio di Dio.
Tanto da una parte che dall'altra è un processo di umiltà e di morte. Ma Dio muore per vivere in te, e tu muori per vivere in Lui. Ed ecco che Dio, ora, non è più in Se stesso ma in te e tu, non vivi più in te stesso ma in Lui. Così come il Padre vive nel Figlio e il Figlio vive nel Padre.  Questa è la gloria dello Spirito Santo, l’amore della Persona che vive nell’unità dell’altra, il pieno godimento, la perfetta beatitudine.







[1] Sophia (in greco Σοφία, "sapienza") è un concetto filosofico e religioso comune sia allo gnosticismo, di scuola alessandrina o di scuola siriana, sia all'ebraismo, sia al Cristianesimo. Essa assume il significato, in base al sistema al quale si applica, di Sapienza divina o parte femminile di Dio. La Sofia è l’essere originario del creato, l’Amore creatore di Dio “ che è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo” (Rom. 5, 5).

[2] Nella rivelazione ebraico-cristiana la parola gloria ha prima di tutto un significato oggettivo: è il peso dell'essere, è l'essere trascendente di Dio che non ha alcuna proporzione con l'essere creato e che nella sua manifestazione, si direbbe, dissolve tutte le cose. La gloria di Dio è 'questo Essere divino' che, facendosi presente dà alla creatura il senso della Sua pienezza, della Sua forza, della Sua trascendenza, del Suo peso. Distrugge la creatura ma perchè la trasforma. La creatura vien meno, per risorgere in Dio

sabato 14 dicembre 2013

Il nulla creaturale secondo la teologia mistica

Il dono di sé di Dio, attraverso la rinuncia alla propria natura divina, è il prototipo della ascesa mediante il sacrificio, la conquista spirituale attraverso la perdita e la rinuncia a sé. Lo svuotarsi da parte del Figlio della propria natura divina non è un movimento accidentale di autonegazione, ma un essenziale aspetto dinamico della natura divina in sé, quell’aspetto dialettico che instaura una comunicazione essenziale, in un capovolgimento-coinvolgimento di essenze, tra uomo e dio. L’esito del cammino è dunque l’annullamento, un rischiararsi dell’anima come Nulla, il termine inverso del Tutto, e che proprio per questo può essere dal Tutto fecondato. Tutto e Nulla sono termini che mantengono il loro senso più pregnante solo nella loro reciproca tensione, nel loro dialogo, dando luogo ad un movimento complementare. Il nulla creaturale è la dimensione ontologica caratteristica del soggetto umano.

 «Dio comincia là dove la creatura finisce. Ora, da te Dio non desidera nulla più
se non che tu esca da te stesso, quanto al tuo modo di essere creaturale, e lasci
che in te Dio sia Dio» (Eckhart).

Il dato di partenza della «notte» e pertanto un momento iniziale nella logica del processo ascetico, quel «nulla», appunto, che la creatura rifiuta istintivamente di essere, quel nulla a partire dal quale Dio si compiace di ripetere la creazione. Nella creatura l’essere viene totalmente e costantemente conferito da una continuità nella creazione ma, considerata in se stessa, la creatura è un puro nulla. Su questa tematica del nihil creaturarum Giovanni della Croce si muove in consonanza con uno dei temi forti della mistica tedesca fiorita sulla scia di Eckhart. L’essere della creatura, nella sua totalità, non è che un prestito, una presenza dell’essere di Dio che in questa sua immanenza – nell’essere un Dio-per-noi , una divinità relazionata – non rinuncia però ad una sua assoluta trascendenza in quanto Monade inconoscibile, deus absconditus.

Il tema del deus absconditus privo di attributi, essenza divina irrelata ed ineffabile, non è nuovo, soprattutto nelle tradizioni mistiche che affondano parte delle proprie radici nel neoplatonismo. Lo troviamo infatti, oltre che nella tradizione mistica cristiana, nel sufismo e nella Qabbalah (nell’idea dell’En-Sof, “senza-fine”, il Nulla divino che si manifesta in dieci emanazioni attraverso l’albero delle Sefirot

«Bisogna sapere che Dio, in ogni anima, fosse anche quella del maggior
peccatore del mondo, dimora e risiede sostanzialmente. E questa maniera di
unione è sempre costituita tra Dio ed ogni creatura, nella quale viene conservato
l’essere che possiedono; di modo che se venisse a mancare, si annichilerebbero e
cesserebbero di essere.  E dunque, quando parliamo di unione dell’anima con Dio, 
non parliamo di questa sostanziale, che è sempre fatta, ma dell’unione
 e trasformazione dell’anima con Dio, che non sempre è fatta, 
ma solo quando viene ad esserci somiglianza d’amore. 
E pertanto questa si chiamerà unione di somiglianza, 
così come quella unione essenziale o sostanziale; 
quella naturale; questa soprannaturale» Salita al Monte Carmelo II, 5,3.

 «Quando arriverai ad essere ridotto a nulla, sarà compiuta l’unione tra l’anima e
Dio, che è il maggiore e più alto stato cui in questa vita si possa giungere, poiché
non consiste in ricreazioni e gusti, e sentimenti spirituali, ma in una viva morte
della croce sensuale e spirituale, cioè interiore ed esteriore» Salita, II, VII, 11.

 Il vuoto rappresenta il limite della recettività e della passività, ma non può emergere se non attraverso una tensione, un desiderio bruciante (Eros); Giovanni della Croce sa di dover aspettare il dono del perfetto annullamento, il rapimento che permette di attuare il completo annichilimento delle potenze dell’anima, in un estremo slancio non volontaristico, nell’abbandono inerte, nel rendersi soggetto all’opera divina che diviene il reale soggetto agente del processo.

L’amore, inteso come eros, non può esistere se non a partire dagli esseri inferiori, nel loro desiderio di assimilarsi ai superiori. L’amore che muove il cosmo platonico o aristotelico (libro XII della Metafisica, dove si espone la dottrina del Motore Immobile) è l’amore con cui Dio è amato, l’amore con cui Dio trae a sé le creature; per lui, amare qualcosa di inferiore e di imperfetto non avrebbe alcun senso. Al contrario, per Dionigi, l'amore che muove ogni essere è l’amore proprio di Dio, l’agápe con cui lui ama, amore che è puro dono e benevolenza. L’eros delle creature sarà il loro sforzo di pervenire alla sorgente di questa agápe, rinnovando il processo circolare di creazione e ritorno, fornendo ai secoli successivi l’immagine di una fonte che scorre dentro se stessa e verso se stessa, un “Dio sempre immobile nel mutamento”. La morte diviene il traguardo della passione, è contenuta intimamente nella struttura dell’eros che nel proprio soddisfacimento, nel e come suo traguardo, annulla se stesso.

«Ciò che Dio pretende è farci dèi per partecipazione, essendolo lui per natura,
come il fuoco converte tutte le cose in fuoco» Punti d’amore riuniti a Beas, 27.
«Le anime possiedono dunque per partecipazione gli stessi beni che il Figlio
possiede per natura; sicché sono davvero degli dèi per partecipazione, pari a Dio
e suoi compagni. […] L’anima parteciperà a Dio stesso, agendo in lui e
accompagnandosi a lui nell’opera della Santissima Trinità, in virtù dell’unione
sostanziale tra l’anima e Dio. Sebbene ciò si compia perfettamente nell’altra
vita, in questa tuttavia, quando si arriva allo stato di perfezione, se ne ottiene un
forte indizio e sapore» Cantico Spirituale XXXIX,6.

Il che richiede l’intervento soprannaturale della grazia divina, operatrice intermediaria tra l’ordine naturale e l’ordine soprannaturale, affinché l’anima venga temporaneamente sottratta alla sua dimensione temporale e naturale di creatura finita. Questo passaggio avviene attraverso una «morte» ( che sarebbe estremamente riduttivo definire “simbolica”) della natura creaturale, e una rinascita: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio» (Colossesi 3,3).


mercoledì 4 dicembre 2013

La libertà creaturale

La libertà della creatura poggia sulla “nulla” come sua base, la potenza di Dio si è limitata dando spazio alla libertà creaturale. Per quanto grande sia la libertà concessa alla creatura, essa non si esercita che per disporre del dono divino dell’essere e non per creare se stessa. L’io creaturale non è assoluto, la sua stessa libertà è non libera, è racchiusa e imprigionata nel limite. Solo la Persona divina è libera e assoluta, ma questa libertà è inseparabile dalla necessità di amare. Nello Spirito Assoluto, libertà e necessità (natura) coincidono esattamente in quel principio dell’Essere divino che è l’Amore. Infatti, nella rivelazione si dice che Dio è amore (1Gv 4,8 ), di conseguenza Dio è al di sopra della libertà, in quanto solo all’amore appartiene la pienezza assoluta.
La libertà nella creatura è sempre relativa al principio personale. Al di fuori della libertà, la persona non esiste affatto. La persona è il principio vivente e la libertà è una funzione della vita. Se si parla di libertà, bisogna innanzitutto vederla nella Persona divina. Ogni creatura è chiamata a crescere e svilupparsi per attuare nella somiglianza, l’immagine divina che in essa è stata posta come un sigillo. Dio ha inserito nella creazione il dato di fatto (immagine) quale dato da compiere (somiglianza). La creatura sarà simile a Dio se non supererà  il limite di affermare se stessa, se permetterà a Dio di far risplendere la sua immagine in quanto principio di vera libertà. La creatura chiamata liberamente all’esistenza da Dio, dovrà rispondere affermativamente al suo essere creato. L’Io della creatura (umana e angelica) può porsi nel mondo solo da se stesso, è perciò nella creazione dell’ Io personale, il comando di Dio: “Sia” è rivolto in forma interrogativa all’Io che, sebbene creato, pone se stesso. In questa possibilità della creatura di porre se stessa è contenuta l’immagine di Dio che sarà attuata pienamente nella somiglianza divina quando lo spirito creato vivrà non per se stesso ma per amore di Colui che è il suo principio creatore.
In questa condizione di riconoscere o non riconoscere di essere creatura è presente la possibilità di deviare verso la divinizzazione di se stesso. Finchè l’uomo vede in Dio il proprio prototipo, ha coscienza di non essere principio del proprio essere ma solo una goccia in cui si riflette il Sole divino. In questo riconoscimento di essere immagine di un Altro, nasce anche l’amore verso questo Modello che è il Figlio Unigenito di Dio. Allora, la creatura raggiungerà la sua personificazione nella libertà accogliente e offerente del Figlio, attraverso l’atto della kenosi d’amore. Ma basterà che volti le spalle a quel Sole e che rifiuti la kenosi perché rimanga solo con se stesso, nella coscienza della propria autoaffermazione luciferina. E’ questa la via di Satana che ha soffocato l’amore ed è caduto nella solitudine dell’Io, ed è in generale anche  la via aperta anche all’uomo proprio a causa dell’autoposizione del suo Io.